Bella Impresa Friulana
Un momento importante della nostra vita, una ricorrenza, un meeting aziendale, una cena romantica e tante altre occasioni di incontro e di festa possono portarci ad usufruire di un servizio di catering.
Come trovare la soluzioni più idonea alle nostre esigenze? Innanzi tutto è opportuna una precisazione sui termini perché esistono due tipi di servizio: il catering con la sola fornitura di alimenti e bevande ed il banqueting che comprende anche tutti gli altri aspetti legati all’organizzazione ed alla presentazione dell’evento (es. scelta location, allestimenti, intrattenimenti, ecc.). Poiché le due parole sono però comunemente usate come sinonimi, useremo il termine catering anche per parlare dell’ attività di banqueting. Premesso che il catering è nato come alternativa al ristorante, per dare una risposta al bisogno del cliente di personalizzare il suo evento, è chiaro che il fornitore ideale sarà quello che riesce ad esaudire i nostri desideri interpretandoli e valorizzandoli, senza mettere troppi paletti. Ma vediamo ad una ad una quelle che dovrebbero essere le nostre richieste. 1 – Essere ascoltati e consigliati. A seconda dell’evento (matrimonio, meeting aziendale, ecc.) le nostre necessità possono essere molto diverse e, soprattutto per i momenti più importanti di vita personale, potremmo aver accumulato tanti desideri. Un’azienda seria è capace di ascoltare, consigliare e dar vita ai nostri sogni. Ciò rende indispensabile un rapporto di intesa e di fiducia fra le parti. Per questo è fondamentale “sentirsi”, incontrandosi più volte per delineare nei minimi particolari contenuti e modalità di sviluppo dell’evento. Se vogliamo mettere la nostra firma, non possiamo e non dobbiamo accettare pacchetti preconfezionati e se non ci sentiamo in sintonia con il nostro fornitore è opportuno cercarne subito un altro! 2 – Un servizio completo con una spiegazione chiara ed esauriente di tutte le voci che compongono l’offerta. Dobbiamo infatti essere sicuri di non incorrere in brutte sorprese, anche per semplici malintesi, che possano creare all’ultimo momento problemi organizzativi e l’aggravio dei costi preventivati. 3 – Soluzioni adeguate al tipo di evento ed al budget di spesa. E’ chiaro che l’impegno e di conseguenza il costo di catering per un matrimonio può essere molto più consistente di quello, ad esempio, per un battesimo. A scapito di equivoci va comunque precisato che di norma un’azienda di catering ha costi di servizio maggiori del ristorante, per effetto dei costi di trasporto delle attrezzature e degli arredi, del trasferimento di personale, dell’allestimento della location, ecc.. 4 – Disponibilità a fornire agli ospiti, con grande attenzione e cortesia, strumenti e supporto La cura di questo aspetto è importantissima anche perché potrebbe influire indirettamente sui nostri rapporti futuri, personali o di lavoro, con gli invitati. 5 – Un menù che rispecchi il modo di essere e di vivere del cliente o la filosofia dell’azienda, ma che preveda nel contempo soluzioni alternative e specifiche per gli ospiti con differenti abitudini alimentari dettate dalla religione, dall’etica o da eventuali problemi salutistici. Poiché nella maggior parte dei casi gli invitati provengono anche da paesi diversi, un menù territoriale, con un’interpretazione originale ed innovativa di prodotti freschi e della tradizione locale, può essere la carta vincente per dare al nostro evento un’impronta unica e far sì che rimanga per sempre tra i ricordi dei nostri ospiti. Naturalmente la presentazione deve essere curata e fantasiosa, ma soprattutto la qualità di tante pietanze può essere garantita solo con la loro preparazione al momento, direttamente sul posto. In conclusione si può dire che, con il rispetto delle indicazioni qui riportate, potremmo essere quasi certi di vivere il nostro evento con serenità e con il sorriso sulle labbra e di ritrovare lo stesso sorriso nel viso e negli occhi dei nostri ospiti. link: http://www.letroichef.com/letroi.html
0 Commenti
La raccolta di erbe spontanee da usare in cucina era una consuetudine molto diffusa in Friuli Venezia Giulia, così come in tante altre parti d’Italia. Con il disgelo della terra di fine inverno e fino a primavera inoltrata, donne e bambini si dedicavano alla ricerca di germogli e di tenere piantine spuntate grazie al risveglio della natura. La conoscenza e la capacità di distinguere le specie e le varietà commestibili si tramandavano di generazione in generazione e facevano parte della ricchezza culturale di intere popolazioni. La maggior parte di queste piante cresce però in terreni magri, incolti ed in prati stabili e l’introduzione in molte aree di pianura di un’agricoltura intensiva e delle concimazioni ha spesso ridotto la loro diffusione sul territorio. Ma vediamo ad una ad una le specie più ricercate ed utilizzate nella cucina tradizionale friulana. Silene (Silene vulgaris) Si chiama Silene per la forma dei suoi fiori dal calice gonfio come il ventre del dio greco Sileno, compagno di Bacco. In alcune zone è invece denominata sclopìt per il rumore che produce il suo fiore se lo si schiaccia tra le mani (in friulano scoppio = sclop), in altre grisolò, grisulò, grisu, grisel per il colore verde argentato e quindi tendente al grigio delle sue foglie (in friulano grigio = gris). Si trova in terreni incolti e prati stabili. E’ un’erba ostinata e caparbia che però soccombe con le concimazioni. E’ senz’altro la più apprezzata per il suo buon sapore che la rende adatta a tanti usi dalle frittate, ai risotti, alle zuppe, alle paste ripiene. Luppolo (Humulus lupulus) Il luppolo è noto perché largamente utilizzato nella fabbricazione della birra. Allo stato spontaneo si trova lungo le siepi e tra i rovi e vengono raccolti i suoi giovani getti che, a seconda delle zone, prendono il nome di urtizzòn, urticjon, bruscandui. Nella cucina locale diventano ingrediente caratterizzante di risotti, frittate e zuppe. Ha azione sedativa e le sue infiorescenze, dalla caratteristica forma di cono, venivano inserite nei guanciali per curare l’insonnia. Rosolaccio o Papavero (Papaver rhoeas) Il papavero è molto diffuso in pianura nei terreni sciolti e diventa infestante nei campi coltivati. In friulano prende il nome di confinon, papaver salvadi, pavari, pavariel e se ne raccoglie la rosetta basale fresca ad inizio primavera soprattutto nei campi non arati. Viene consumato prevalentemente come contorno, bollito e saltato poi in padella, ma entra anche nella preparazione di gustose frittate, zuppe e risotti. Taràssaco (Taraxacum officinale) E’ una pianta ubiquitaria che viene chiamata pissecìan, ridicèla, radicèla, tale, lidrichesse, Le foglioline giovani possono essere usate crude in insalata, ma nella maggior parte dei casi si lessano e si saltano in padella le intere piantine, spesso con un soffritto di guanciale , pancetta o lardo. Con i capolini immaturi si fanno i “capperi friulani”, scottati nell’aceto e vino od acqua e conservati in vaso sott’olio. I bellissimi fiori gialli di questa pianta sono molto frequentati dalle api ed il Friuli Venezia Giulia annovera il miele di tarassaco fra i suoi Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) iscritti all’apposito albo del Ministro dell’Agricoltura. Ortica (Urtica dioica) E’ una pianta presente ovunque, lungo le siepi, nei viottoli, vicino alle case, soprattutto nelle zone ombrose ed è denominata urtie, urtia. Per il suo sapore forte in cucina la sua parte apicale viene di solito lessata e mescolata ad altre erbe, ma può diventare anche la base per saporite minestre, frittate e risotti. Le foglie d’ortica erano usate per colorare le uova di verde nel periodo pasquale (si fanno macerare le ortiche in acqua che viene poi utilizzata per la cottura delle uova). E’ credenza popolare che il bruciore ed il prurito provocato sulla pelle dai suoi peli urticanti abbiano un’azione benefica nella cura dei dolori reumatici. Pungitopo (Ruscus aculeatus) Il pungitopo è una pianta presente soprattutto nella zona alto collinare e nelle zone boschive. Si raccolgono i giovani turioni, dal sapore amarognolo, che sono chiamati ruscolin o sparc di ruscli, sparesi de rust. Essi vengono usati in cucina come gli asparagi e quindi soprattutto come contorno ad uova sode, in frittate e risotti. In alcune zone c’è l’abitudine di introdurli nelle bottiglie di grappa per aromatizzarla e renderla simile ad un digestivo. La pianta, che presenta foglie fitte e pungenti, veniva in passato utilizzata nelle case per impedire l’accesso a topi ed altri animali indesiderati ai magazzini ed alle scorte alimentari. Molto usata poi nelle insalate è la Valerianella (Valerianella olitoria) chiamata ardielùt, argelùt, lardielùt oggi coltivata anche su larga scala. Bisogna però precisare che intensità di sapore e consistenza delle foglie delle piante coltivate non sono eguagliabili a quelle della stessa specie cresciute allo stato spontaneo. Nelle zone montane sono inoltre raccolte e costituiscono vere prelibatezze anche la Barba di capra o asparago di monte (Aruncus dioicus) localmente denominato barbe di bec o penàc, il Buonenrico (Chenopodium bonus Henricus) o spinacio selvatico, in friulano pêl di mus, sconti, jerbo da’ farino, gàsala, il Levistico o sedano di monte (Levisticum officinale), chiamato selino di mont mont, e soprattutto il Radicchio di monte (Cicerbita alpina) in friulano radic di mont o lidric di mont, che è una delle piante più conosciute ed apprezzate dell’arco alpino orientale e specialmente nelle Alpi Carniche. Per impedire un prelievo indiscriminato di queste erbe e tutelare gli equilibri ambientali, in Friuli Venezia Giulia è stata emanata una legge regionale (L.R. n.9 del 23 aprile e successive modifiche) che fissa periodi e limiti quantitativi di raccolta, variabili a seconda delle specie.
Premesso che non ci si deve mai improvvisare raccoglitori di erbe senza conoscerle a fondo, onde evitare il rischio di mettere nel piatto specie velenose, talvolta anche mortali, di aspetto molto simile a quelle commestibili, è importante avvicinarsi alla natura con profondo rispetto, apprezzandone i doni, ma lasciando nel contempo anche alle future generazioni la possibilità di conoscerli e gustarli. La fermentazione naturale dei prodotti è uno dei processi che l’uomo ha imparato nel tempo a provocare e guidare per conservare le sue scorte alimentari. Il prodotto fermentato simbolo della tradizione friulana è senza dubbio la brovada (chiamata anche broada, broade, brovade, bruade, sbrovada, sbrovade), ottenuta da rape fermentate in vinaccia inacidita, che nel 2011 ha acquisito la Denominazione di Origine Protetta (DOP). Dalla “Cronaca inedita” di Jacopo Valvasone di Maniago (storico del XVI secolo) si scopre che l’abitudine di conservare le rape in vinaccia esisteva in Friuli già nel lontano 1478. Negli “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia” del 1810 il prof. Filippo Re ne illustra invece la tecnica di produzione che, nei suoi aspetti più salienti, è sostanzialmente la stessa di oggi. Le rape “da brovada”, di colore bianco e con il colletto viola, vengono seminate tra giugno ed agosto e raccolte, in base al periodo di semina, da inizio settembre a fine dicembre. Vengono quindi private delle foglie, lavate e disposte in tini a strati alternati con vinaccia di uve rosse. Il tino è poi rabboccato con liquido di governo costituito acqua o acqua e aceto o acqua, aceto e vino, a seconda delle ricette. Le rape devono essere completamente immerse e coperte dalla vinaccia per garantire lo sviluppo, ad opera dei batteri lattici, di una fermentazione lattica anaerobica, cioè in assenza di ossigeno. La fermentazione si conclude nell’arco di uno-due mesi, quando la rape hanno assunto all’interno una colorazione leggermente rosata, odorano di vinaccia ed hanno perso il sapore e l’odore di rapa fresca. A questo punto vengono estratte dal tino, lavate, toelettate, pelate, grattugiate in fettucce di dimensione compresa tra tre e sette millimetri ed infine confezionate per la vendita. Secondo disciplinare l’immissione al consumo è ammessa a partire dal 26 settembre e deve concludersi entro il 15 maggio. La brovada è quindi un prodotto stagionale che si impiega in cucina nei periodi più freddi dell’anno. Ma come si prepara la brovada? Si fanno soffriggere 2 – 3 spicchi d’aglio in un filo d’olio, poi si tolgono e si immettono nella pentola le rape fettucciate con l’aggiunta di qualche foglia di alloro e sale e pepe. Si fa cuocere lentamente a pentola coperta per circa 2 ore, aggiungendo, se necessario, un po’ di brodo. Questa è la ricetta più diffusa, ma c’è però chi usa anche cipolla e pancetta al posto dell’aglio. In tavola la brovada forma una coppia perfetta con il musetto, il più caratteristico degli insaccati friulani, ma viene utilizzata anche nella preparazione di minestre a base di fagioli. In alcuni casi viene consumata anche cruda. Il suo apporto calorico è molto basso, è priva di colesterolo, è ricca di fibre ed ha un potere diuretico e di stimolo dell’appetito. La brovada è stata citata da scrittori di rilievo come Ippolito Nievo, Guido Piovene e Padre Maria Turoldo nelle loro opere perché è un piatto povero e semplice, ma nello stesso tempo così peculiare che non è possibile visitare il Friuli in autunno ed inverno senza cogliere il fascino, i sapori ed i profumi di questa pietanza. Giuliana Masutti link www.brovadafvg.it www.aziendalequattrostagioni.com Il frico è senza dubbio la pietanza in cui i friulani trovano a tavola le loro radici. L’ingrediente base è il formaggio, Latteria o Montasio, con l’aggiunta di patate e, a seconda delle tradizioni locali e delle stagioni, di cipolla, speck, erbe, ecc. Esiste anche in versione friabile dove il solo ingrediente è costituito da formaggio stravecchio. Il frico nasce quindi come elaborazione in cucina del formaggio locale, sul quale è opportuno dare qualche maggiore informazione e cenno storico. Il formaggio è stato infatti un alimento prezioso per la sopravvivenza delle genti friulane ed una importante fonte di reddito in anni in cui l’economia era basata quasi esclusivamente sull’agricoltura. Basti pensare che nel 1962 in Friuli Venezia Giulia c’erano ben 652 latterie sociali (i Comuni oggi sono 216) e quindi c’era una latteria quasi in ogni località o borgata. Tutte le famiglie allevavano qualche mucca per la produzione di latte che, con le lavorazioni in comune, diventava formaggio Latteria. Il Latteria riportava impresso sullo scalzo della forma il nome del paese di provenienza e veniva stagionato nelle cantine di casa e destinato al consumo famigliare e/o alla vendita. Negli anni ’80, con la concentrazione e la trasformazione delle latterie sociali da turnarie in cooperative e, di conseguenza, con lo sviluppo di una nuova organizzazione di vendita, nacque l’esigenza di tutelarlo e valorizzarlo sul mercato. Per questo venne istituita la DOP (Denominazione di Origine Protetta) del Montasio (così era chiamato il Latteria in alcune aree), con un relativo disciplinare, a cui aderirono molti caseifici cooperativi e privati con tutta o parte della loro produzione. Oggi in negozi e supermercati troviamo il Montasio, ma anche il Latteria che ha caratteristiche variabili a seconda delle scelte e delle tecniche adottate dal singolo produttore. Ma dove e come è nato il frico? Quali sono i suoi ingredienti ed i segreti per la sua preparazione? Per molti esperti ha avuto origine in Carnia e quindi in zona montana, ma una versione dolce di questa pietanza era già riportata nel 1450 nel ricettario di un cuoco del Patriarca di Aquileia. Per ottenere un buon frico è necessario usare formaggio Latteria o Montasio di almeno tre stagionature (fresco, mezzano, vecchio o stravecchio) e patate che rilascino poca acqua alla cottura. In passato si utilizzavano anche “le strissulis” cioè i ritagli di formaggio ricavati dalla rifilatura delle forme dopo la pressatura. Sicuramente ci vuole poi l’”arte” e quindi la capacità di dosare e gestire il fuoco, in modo da ottenere una specie di frittata croccante fuori e morbida dentro. Non è affatto semplice e quasi ogni abitante della Carnia si ritiene depositario di un segreto per la sua buona riuscita, dal taglio delle patate, al rapporto fra i formaggi di diversa stagionatura, e così via. Il frico può essere servito come antipasto, secondo o piatto unico ed oggi si può acquistare anche confezionato, pronto da portare in tavola previo riscaldamento e breve doratura in padella antiaderente. Giuliana Masutti In Italia più di 8 miliardi di euro di cibo, mediamente 6,5 euro a famiglia a settimana, vengono gettati nella spazzatura. Questo è quanto emerge dal Rapporto 2014 Waste Watcher – Knowledge for Expo presentato a Milano il 7 luglio scorso da Andrea Segrè, presidente di Last Minute Market. Lo spreco alimentare domestico è dovuto all’eccedenza delle quantità di cibo preparate, alla sovrabbondanza degli alimenti acquistati, all’incapacità di consumarli entro il periodo di scadenza e alla difficoltà di interpretare correttamente le indicazioni fornite dall’etichettatura. Il fenomeno si è sviluppato nel corso degli ultimi 50 anni per effetto dei profondi cambiamenti dell’industria alimentare e della rete di vendita, dell’aumento della disponibilità economica degli italiani e della riduzione dell’ incidenza della spesa alimentare sulla spesa totale delle famiglie. La crisi ed una sempre più diffusa sensibilità etica stanno tuttavia ponendo oggi l’argomento all’attenzione di istituzioni e cittadini. A livello domestico spesso si spreca anche perché non si sa come riciclare gli avanzi. Dai sondaggi emerge infatti che una larga fetta di “spreconi” sente il bisogno di apprendere trucchi e ricette per riportarli in tavola sotto una nuova veste. Già negli anni 60 – 70, quando l’alimentazione aveva un peso molto più consistente sul bilancio delle famiglie, nelle scuole medie si insegnava alle ragazze come riutilizzarli. Ecco alcuni consigli pratici riportati nel paragrafo Lotta agli sprechi del libro “Io e la casa” di Applicazioni Tecniche Femminili edito da Lattes nel 1969. “Per quanto la massaia cerchi di preparare sempre in giusta quantità ogni portata, può succedere che questa risulti troppo abbondante e che ritornino perciò in cucina piccoli avanzi di carne, di pesce, di verdura, di minestra. Non si deve sciupare nulla: quindi questi avanzi saranno utilizzati per preparare un nuovo piatto, perché non sarebbe conveniente ripresentarli in tavola tali e quali. * La carne avanzata si può tritare e adoperare per gustose polpettine o come ripieno di paste o di verdure (carciofi, zucchini, cavoli, cipolle, peperoni); si può rifare con il pomodoro o, se si tratta di lesso o di arrosto, servire con l’insalata. * Il pesce bollito si può ripresentare in insalata o coperto di gelatina o di maionese. * La verdura lessa può servire a preparare un piccolo sformato o può essere semplicemente ricoperta di besciamella. In particolare gli spinaci tritati ed uniti a un po’ di ricotta sono ottimi come ripieno degli agnolotti o come polpettine. * La pasta asciutta, accomodata in una teglia o in un piatto di pirofila, ricoperta di besciamella e fatta dorare in forno, è squisita. * Il risotto si unisce a carne e verdura per farne frittelle, polpette e ripieni o si fa dorare nel forno, come la pasta. * Il pane avanzato si può far seccare in forno e poi macinare, per ottenere un buon pangrattato di produzione casalinga. Le fette più larghe, tostate, possono servire a preparare, con pomodori e brodo, una zuppa molto gustosa. E’ inoltre possibile utilizzare in modo soddisfacente anche quegli avanzi di cucina che le massaie poco attente sprecano. * Gli albumi d’uovo, uniti ad un uovo intero e ad un po’ di formaggio grattugiato, possono trasformarsi in una saporita frittatina. Unendo ad alcuni albumi un uovo intero, zucchero, latte; frullando e cuocendo il composto a bagnomaria, è possibile ottenere uno squisito budino, adatto alla merenda dei bambini. Anche certi delicati biscotti da tè si preparano con bianchi d’uovo montati insieme a zucchero vanigliato. * Un poco di brodo avanzato si conserva in frigorifero e si adopera alla prima occasione per aggiungerlo, invece dell’acqua, ad una salsa o alla carne che debba rosolare lentamente. * Le croste del parmigiano si ripuliscono a dovere e si fanno cuocere nel minestrone o nel brodo, a cui comunicano un gradevole sapore di formaggio. …..E si potrebbe continuare un bel pezzo, ricordando però che, soprattutto in questo campo, l’economia non deve diventare grettezza e dev’essere praticata con quell’intelligenza ch’è indispensabile base del buon governo domestico.” Rileggere queste parole oggi forse può far sorridere. Con il cambiamento della condizione femminile e la maggiore occupazione della donna al di fuori delle mura domestiche, la condivisione del lavoro ai fornelli tra uomo e donna e l’incremento dei single, la “massaia” dei nostri giorni è infatti molto diversa da quella del passato. Ciò non toglie che non si possa far tesoro di questi preziosi e sempre applicabili consigli e soprattutto dell'insegnamento sul “buon governo domestico”. Giuliana Masutti Link www.lastminutemarket.it Peta, petuccia e pitina sono salumi tra loro molto simili, che fanno parte della tradizione alimentare delle valli pordenonesi. La più famosa è la pitina, nata in Val Tramontina, Presidio Slow Food, ottenuta da carni di ovino o caprino o selvaggina, con una piccola aggiunta di lardo di maiale. Peta e petuccia sono invece più diffuse in Valcellina e sono generalmente composte da carni di bovino, suino e selvaggina. In comune hanno una stessa tecnica di lavorazione che prevede la triturazione delle carni, l’aggiunta di sale, pepe, vino, aglio e talvolta di erbe profumate di montagna o di semi di finocchio selvatico, la formazione di “polpette” che vengono poi passate nella farina da polenta, affumicate e messe a stagionare in appositi locali. La produzione è molto diffusa anche a livello famigliare ed in tal caso forma, peso ed ingredienti possono variare a seconda della ricetta “della casa”. Nel paesino di Andreis l’impasto viene addirittura richiuso ed insaccato in tela di canapa. Dopo un’adeguata stagionatura il prodotto può essere consumato crudo. Il suo sapore è molto complesso e particolare. La sensazione è di gustare carne d’animale selvatico unita alla freschezza delle erbe aromatiche o del finocchio, tutto amalgamato dall’affumicatura. Molto interessante è però anche l’uso di questi salumi per la preparazione di semplici antipasti o secondi piatti con le ricette della tradizione locale. Ecco cinque esempi (per semplificare l’esposizione usiamo solo il termine pitina, che deve essere poco stagionata, ma si possono usare a piacere anche peta e petuccia): Con “suf” di polenta Tagliare la pitina a fettine e scaldarle in un tegame con un po’ di burro. Nel frattempo preparare la polenta. Dopo aver versato la farina nell’acqua salata, prendere due-tre mestoli della schiuma che si forma in superficie (il “suf”) e versarli nel tegamino sul prodotto e far asciugare il tutto. All’aceto balsamico Tagliare la pitina in fette non troppo sottili. Scaldare in una padella un po’ di burro, rosolarvi le fettine da ambo i lati e spruzzare il tutto con abbondante aceto balsamico. Far addensare e servire le fettine di pitina su crostini di pane caldo o su una fettina di polenta abbrustolita. Alla brace Tagliare la pitina in grosse fette, scaldarla sulla griglia per pochi minuti e quindi servirla con polenta abbrustolita. Nella polenta Versare sul fondo di un piatto da portata della polenta tenera. Scottare per pochi minuti la pitina tagliata a fettine in un tegame con abbondante burro e quindi servirla sopra il letto di polenta con il burro di cottura e cosparsa di un trito fine di prezzemolo. Nel “cao” Scottare la pitina, tagliata a fette abbastanza spesse, in poco olio di semi, aggiungere una spruzzata abbondante di aceto rosso, far sobbollire e unire quindi panna liquida. Far addensare e servire su un letto di polenta tenera. Giuliana Masutti Link www.borgotitol.com www.pordenonewithlove.it www.slowfood.fvg.it |
Archivi
Gennaio 2016
Categorie |
B.I.F. - Bella Impresa Friulana Contratto numero repertorio notarile 2772 raccolta n.2019 registrato all'Agenzia delle Entrate di Maniago il 6/08/2014 al n. 1550 serie 1 T e depositato presso la Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Pordenone - Codice fiscale 91088730931 - informativa sulla privacy - informativa cookie
© COPYRIGHT 2015. ALL RIGHTS RESERVED.